domenica 30 giugno 2013

Il nuovo lessico cattolico di Papa Francesco

di Christian Albini | 28 giugno 2013 http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1340

Il linguaggio di Bergoglio corrisponde a un vero e proprio stile, a un modo di vivere la fede e di vedere la Chiesa

Riproponiamo dal suo blog Sperare per tutti questa lettura del primo scorcio di Pontificato proposta da Christian Albini. Si tratta di un intervento tenuto sabato scorso, a Parma, all'assemblea dell'associazione Viandanti.
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A partire dall'elezione di papa Francesco, ciascun gesto e ciascuna parola di Bergoglio sono stati soppesati quasi ossessivamente da più parti per rispondere a una stessa domanda: è un conservatore o un progressista? Questo schematismo, di cui anch'io mi accorgo di risentire, è indice di una frattura profonda che divide da decenni la chiesa cattolica al suo interno, provocando scontri e contrapposizioni che smentiscono la fraternità cristiana. Di fronte al nuovo papa ci si chiede perciò se sta dalla propria parte. Ecco allora che c'è chi si affretta ad arruolarlo nel proprio schieramento perché parla del diavolo e della Madonna, così come altri si appellano ad aspetti diversi della sua predicazione.
A questo modo di pensare è correlata l'ossessione della continuità, per cui di tutto ciò che il papa fa o dice bisogna affermare che non cambia niente rispetto al passato, come se l'esperienza cristiana non fosse cammino e conversione, ma solo conservazione. Per non parlare di chi sostiene che i papi sì cambiano, con le loro personalità, ma tutto fa parte dell'unico disegno dello Spirito, come se la libertà personale non esistesse e i pastori fossero solo dei burattini.
Da parte mia, ritengo che in papa Francesco ci sia una novità positiva, anche se per la sua storia e provenienza Bergoglio non è inquadrabile nella dicotomia di cui sopra. E questo è positivo, perché è uno schema che finisce con il paralizzare la chiesa. Per la sua storia personale e provenienza, Francesco porta in sé elementi più tradizionali assieme ad altri che sono una rottura rispetto a certi aspetti del cattolicesimo ormai irrigiditi e che oggi non esprimono più la novità evangelica.

lunedì 24 giugno 2013

VITA ETERNA. La gloria della nostra carne

di Enzo Bianchi, Avvenire, 23.6.13

Sembra che la resurrezione della carne, la resurrezione dei nostri corpi, sia l’elemento più strano che la fede cristiana chiede di credere. Non a caso, dalle analisi sociologiche condotte sulla fede degli italiani risulta che, se la maggior parte della popolazione crede in Dio, neanche il 20% crede nella resurrezione della carne.

Occorrerebbe domandarsi che qualità cristiana ha questa fede, che in verità sembra piuttosto una certa credenza in un Dio, in un essere superiore, credenza neppure degna di essere classificata come teista. Eppure ogni domenica nella professione di fede che i cattolici fanno all’interno della celebrazione eucaristica si confessa: «Credo la resurrezione della carne, la vita eterna» (Simbolo apostolico), oppure: «Aspetto la resurrezione dei morti» (Simbolo niceno-costantinopolitano)… Quando poi si ascoltano i pensieri dei cristiani sull’aldilà, sovente si resta imbarazzati sentendoli parlare di reincarnazione (espressione sconosciuta fino a un secolo fa e introdotta con il fenomeno dello spiritismo), come se questo fosse il vero desiderio che li abita: vivere altre vite, altre esperienze. È questo un modo per rimuovere la verità della morte, oppure è un sogno di immortalità?

Questi cristiani che spesso pensano la reincarnazione come una credenza religiosa orientale non sanno, tra l’altro, che nell’induismo e nel buddhismo la reincarnazione significa una condanna, perché la salvezza si attua proprio attraverso una lunga disciplina durante la vita, la quale permette di uscire dal ciclo delle reincarnazioni che rappresentano sempre un fallimento! Questi cristiani si ispirano forse alla migrazione delle anime, concepita da Platone all’interno di un’ideologia dualista secondo cui l’essere umano sarebbe composto di un elemento immortale, l’anima, e di uno corruttibile, il corpo? La fede nella resurrezione della carne è il cuore della fede cristiana, perché indissolubilmente legata alla fede nella resurrezione di Gesù Cristo. Già l’apostolo Paolo, di fronte alle difficoltà mostrate a questo riguardo dai primi cristiani provenienti dal mondo greco, asseriva con forza: «Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede … Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1Cor 15,16-17.19).

venerdì 21 giugno 2013

LA POSSESSIONE DIABOLICA

Dialoghi sull'aldila - Don Gabriele Amorth

LA POSSESSIONE DIABOLICA

DON AMORTH, COS' È LA POSSESIONE DIABOLICA?
Una donna posseduta in trance
AZIONE STRAORDINARIA - Una donna posseduta, in stato di trance, durante un esorcismo in una chiesa di Mexico City (Foto Ian Sochor / Zuma Press / Corbis).
Esistono diverse modalità in cui il demonio può influire in modo straordinario su una persona: la prima è la vera e propria possessione, che è il caso più raro e grave. Esistono poi casi di vessazione, di ossessione e di infestazione diabolica.
Venendo alla possessione, si tratta di un’influenza così forte del demonio su una persona, che questi arriva a utilizzarne il corpo per manifestarsi all’esterno. Insisto sul termine “influenza”: il demonio mai – e ripeto mai – può prendere possesso dell’anima dell’uomo, ma solo del suo corpo. In questo caso l’indemoniato solitamente va in trance e perde coscienza; lo spirito malvagio, da parte sua, usa la bocca della persona per parlare e le sue membra per mostrare una forza sovrumana o compiere gesti eclatanti come, ad esempio, vomitare chiodi, vetri o cose del genere. In questi casi non è la persona impossessata ad agire ma il demonio stesso.
Vorrei anche sottolineare il fatto che questi non “entra” dentro una persona, ma agisce su di essa attraverso l’influsso della sua forza spirituale, che gli deriva dalla sua natura angelica. Durante la crisi il manifestarsi di fenomeni anomali avviene a tratti, senza continuità. Il soggetto perde coscienza all’improvviso. Negli altri momenti della giornata appare invece assolutamente normale. Le crisi possono essere provocate da motivi esterni, come la preghiera o l’esorcismo, ma più spesso dal demonio stesso, che agisce quando, come e dove vuole: di giorno, di notte o magari quando la persona è in compagnia di amici, perché tutti vedano.

giovedì 20 giugno 2013

La "regola del dialogo" secondo Carlo Maria Martini

  1. Ogni comunicazione autentica nasce dal silenzio. Infatti ogni parlare umano è dire qualcosa a qualcuno: qualcosa che deve anzitutto nascere dentro. Nascere dentro suppone un autoidentificarsi, un autocomprendersi, un cogliere la propria interiore ricchezza.
  2. La comunicazione ha bisogno di tempo. Non si può comunicare tutto d'un colpo, in fretta e senza grazia. Se Dio ha diffuso una comunicazione tanto importante ed essenziale come quella dell'alleanza nell'arco di un lungo tempo storico, vuol dire che anche la comunicazione ha bisogno di tempi e momenti, è un fatto cumulativo, richiede attenzione all'insieme.
  3. Non bisogna spaventarsi dei momenti di ombra. Luci e ombre sono vicende normali del fatto comunicativo. Chi nel rapporto interpersonale vuole solo e sempre luce, chiarezza, certezza assoluta, dà segno di voler dominare piuttosto che comunicare, cade nella gelosia e si aliena l'altro.
  4. La trasparenza comunicativa raggiungibile quaggiù non è mai assoluta. Il volerla forzare oltre il giusto, oltre la soglia di quello che è il segreto, forse neppure accessibile del tutto a chi lo possiede, fa scadere nella banalità.
  5. La comunicazione coinvolge sempre in qualche modo la persona che comunica. Pur se molti rapporti comunicativi non raggiungono la profondità di una comunicazione in cui chi parla dice qualcosa di sé, implicitamente però ogni comunicare coinvolge la persona che parla, almeno al livello più semplice della verità delle informazioni che sono trasmesse e dell'autenticità dei sentimenti che sono espressi. Dunque, in qualche modo, chi parla dice sempre qualcosa di se, esprimendo la sua onestà di fondo (o disonestà) e la sua apertura (o chiusura) agli altri e al mondo.
  6. L’abitudine ad ascoltare bene gli altri (prima ancora di pensare a che cosa dire loro) renderà sensibili a molte delle sfumature del comunicare tra persone e aiuta anche a cogliere dove stanno i blocchi comunicativi e come si possono superare.
  7. Non c’è autentico comunicare se non c’è l’intenzione di suscitare una risposta. D’altra parte questa intenzione, per essere seria, deve partire dall'attenzione a ciò che l'altro sente, vive o desidera. Molte volte la risposta è svagata o sfocata perché la comunicazione iniziale, di avvio, è stata formulata al di fuori dell'orizzonte e degli interessi di chi ascolta.

    (dal n. 32 della lettera pastorale "Effatà" del 1990) http://sperarepertutti.typepad.com/sperare_per_tutti/

sabato 15 giugno 2013

Le idee confuse sull'aldilà e il rifiuto cristiano della reincarnazione

La credenza nella reincarnazione cela un rifiuto di lasciarsi salvare ed esprime in sostanza la volontà di autoredenzione dell'uomo.


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[TESTO TRATTO DAL VOLUME DI ANGELO AMATO, "IL PARADISO. DI CHE SI TRATTA? (LIBRERIA EDITRICE VATICANA)]
E' un fatto innegabile, che anche nella cultura catechistica dei cristiani si nota una grande vaghezza per quanto riguarda l'aldilà, tema non frequente nella predicazione, nella pastorale e nell'istruzione religiosa, dove le questioni sulle realtà ultime vengono sottaciute, a tutto vantaggio delle tematiche socio-culturali di impatto immediato e direttamente verificabili.

Dalle indagini sociologiche risulta, ad esempio, che per quanto riguarda la prospettiva della vita dopo la morte, le credenze sembrano essere molto deboli, esistendo un alto livello di incertezza, che spesso rasenta il cinquanta per cento degli intervistati. [1]

martedì 11 giugno 2013

"Ciao, Andrea" di Alex Zanotelli - Mosaico di Pace Editoriale di Giugno dedicato al ricordo di Don Andrea Gallo



Ciao, Andrea
di Alex Zanotelli

Ho conosciuto per la prima volta don Gallo solo nel 1985, quando arrivò una sua telefonata di solidarietà per l’editoriale di Nigrizia: “Il volto italiano della fame africana”, che aveva scatenato la rabbia dei grandi politici di allora. Don Gallo mi invitò a Genova a parlare alla sua comunità. Accettai e ne nacque un’amicizia che è durata una vita. 
Mi fu molto vicino quando nel 1987 fui silurato dalla direzione di Nigrizia. E mi fu ancora più vicino quando vissi per 12 anni nei sotterranei della vita e della storia a Korogocho, baraccopoli di Nairobi. Ho potuto conoscerlo più profondamente quando andai a Genova nel 2011, per il 10° anniversario del G8 (don Gallo era stato a fianco del grande movimento di cittadinanza attiva, venuto a Genova nel 2001 per urlare che un altro mondo è possibile). A Genova fui ospite suo e della sua simpatica comunità di S. Benedetto del Porto, animata da quella ‘colonna’ che è Lilly. Raramente nella mia vita mi sono sentito così a casa in una comunità composta da persone così diverse. Era questo il carisma straordinario di don Gallo: accogliere tutti. “Se ciascuno di noi riconosce la sua appartenenza a questa comunità, senza nessuna distinzione di razza, di religione, di sesso, superando tutte le discriminazioni – diceva qualche mese fa don Andrea – allora diventiamo veramente uomini e camminiamo insieme verso l’obiettivo comune di una civiltà che, grazie all’impegno personale, rendiamo a misura d’uomo”. 
Per questo, don Gallo ritiene fondamentale la scelta della nonviolenza, svolta fondamentale dell’umanità, nonviolenza che vuol dire pacifismo attivo, l’unica strada per vincere. 
E don Gallo aggiungeva: “Il male grida forte e tutti si accorgono della realtà, ma la speranza in un mondo migliore è ancora più forte e proprio attraverso l’umano, donando la propria vita”. 
Accogliere l’altro, il diverso, la nonviolenza attiva sono le parole che più raccolgono il pensiero e la vita di quest’uomo appassionato di Gesù e del Vangelo...
Leggi tutto: Ciao, Andrea

sabato 8 giugno 2013

L'inquisizione secondo gli studi recenti


di Antonio Socci, Il Sabato, 28 aprile 1990

Ecco come il napoletano Giovanni Romeo e il danese Gustav Henningsen con due libri recenti, hanno capovolto uno dei luoghi comuni della storia europea.


Nascita della leggenda nera
 «Preferivo (...) essere consegnato ai selvaggi e mangiato vivo piuttosto che cadere negli artigli spietati dei preti ed essere trascinato davanti all'Inquisizione». E' una paginetta di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, che fu il breviario della borghesia britannica ed europea. Una borghesia rapace, lanciata nella conquista coloniale, nella riesumazione del più feroce schiavismo e nella pratica sistematica del genocidio: dall'India alle praterie dei pellerossa americani, agli indigeni australiani. Ma che nei suoi salotti raffinati fremeva indignata al sentir parlare di Sant'Uffizio.
 Ricordate la «leggenda nera» dell'Inquisizione? E la crudele follia degli inquisitori, aguzzini per vocazione, belve assetate di sangue? Da almeno due secoli come un macabro ritornello grava sulla Chiesa questa colpa storica. Ebbene: «Il XX secolo si appresta a lasciare in eredità al terzo millennio che s'apre un'immagine sorprendentemente nuova dei tribunali come quelli inquisitoriali, tradizionalmente relegati dal nostro immaginario collettivo tra gli orrori del fanatismo clericale». Lo scrive Giovanni Romeo, storico, docente, all'Università di Napoli e autore del libro Inquisitori, esorcisti e streghe (nell'Italia della Controriforma), uscito di recente da Sansoni.

Gli storici non hanno dubbi

giovedì 6 giugno 2013

Le parole di Papa Francesco: il meglio di maggio 2013 (II parte: 15-31 maggio)


Papa FrancescoGio.16 maggio, MESSA (S.Marta): Cristiani che "danno fastidio", pur di annunciare Gesù Cristo

 

Gio. 16 maggio, UDIENZA agli ambasciatori : Governati dall'etica e dalla solidarietà, non dall'idolatria del denaro!

Il Papa ha  lanciato un campanello d’allarme al mondo, parlando di una finanza “deforme” che indebolisce i poveri e arricchisce i ricchi; di “corruzione tentacolare” e di una “volontà di potenza e di possesso” che ha superato ogni limite.

“La gioia di vivere va diminuendo – osserva - l’indecenza e la violenza sono in aumento; la povertà diventa più evidente. Si deve lottare per vivere, e spesso per vivere in modo non dignitoso”.
Una delle cause, per il Pontefice, è il rapporto malato con il denaro, l’aver accettato “il suo dominio su di noi e sulle nostre società”. È questa l’origine della crisi finanziaria che, “situata in una profonda crisi antropologica”, afferma la “negazione del primato dell’uomo”.
“Abbiamo creato nuovi idoli” afferma duramente Papa Francesco. Come un moderno vitello d’oro, il “feticismo del denaro” e la “dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano” hanno deformato la finanza e ridotto l’uomo “a una sola delle sue esigenze: il consumo”.
Peggio ancora, insiste il Santo Padre, “oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare”. Una “cultura dello scarto”, dunque, che porta ad una “deriva” individuale e sociale, che – constata tristemente il Papa – “viene favorita!”.
In tale contesto, “la solidarietà, che è il tesoro dei poveri, è spesso considerata controproducente”, “troppo umana”, quasi una “minaccia”, perché “relativizza il denaro e il potere” e “rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona”.
“Dietro questo atteggiamento - afferma Francesco - si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio”. Come la solidarietà, infatti, “l’etica dà fastidio”. Essa “conduce a Dio”, il quale “si pone al di fuori delle categorie del mercato” ed è quindi “considerato da finanzieri, economisti e politici, come non gestibile” o addirittura “pericoloso”, perché “chiama l’uomo alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da ogni genere di schiavitù”.
Il Papa incoraggia pertanto gli esperti di finanza e i governanti dei Paesi a considerare le parole di san Giovanni Crisostomo: «Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli e togliere loro la vita. Non sono i nostri beni che noi possediamo, ma i loro» (Omelia su Lazzaro, 1, 6). Sulla scia dell’arcivescovo, Papa Francesco esclama: “Il denaro deve servire e non governare!”. Un’affermazione cruciale che si accompagna all’auspicio che si possa realizzare “una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti”.

mercoledì 5 giugno 2013

Le parole di Papa Francesco: il meglio di maggio 2013 (I parte: 1-15 maggio)


Mer 1 maggio, UDIENZA:  "Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio"

...vorrei rivolgermi in particolare a voi ragazzi e ragazze a voi giovani: impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte.


La preghiera fatta assieme è un momento prezioso per rendere ancora più salda la vita familiare, l’amicizia! Impariamo a pregare di più in famiglia e come famiglia!

Gio 2 maggio: MESSA (S.Marta): La "Chiesa del sì", la "Chiesa del no" e il bel lavoro d'armonia dello Spirito Santo

Ven 3 maggio: MESSA (S.Marta) Cristiani coraggiosi che trasmettono la fede e "sfidano" Gesù nella preghiera

...è come una “sfida” che Gesù ci lancia, quando dice: “Qualunque cosa chiederete nel mio nome la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio”.
“È forte questo!” ha commentato il Santo Padre. Il problema è se noi abbiamo realmente il coraggio di affrontare questa ‘sfida’: “Abbiamo il coraggio di andare da Gesù e chiedergli: ‘Ma tu hai detto questo, fallo! Fa che la fede vada avanti, fa che l’evangelizzazione vada avanti, fa che questo problema che ho venga risolto…’. Abbiamo questo coraggio nella preghiera? O preghiamo un po’ così, come si può, spendendo un po’ di tempo nella preghiera?”.
“I cristiani tiepidi, senza coraggio” – ha aggiunto – “fanno tanto male alla Chiesa”.

sabato 1 giugno 2013

Le catechesi di Papa Francesco sul vero e buon cristiano. (Parte II)


(a cura Redazione "Il sismografo")
(Luis Badilla) Da quanto ha precisato il direttore della Sala stampa della Santa Sede p. Federico Lombardi lo scorso 30 maggio, si può dedurre che Papa Francesco continuerà a concelebrare la Messa, ogni mattina a Santa Marta, per gruppi diversi e quindi continueranno le sue riflessioni sul Vangelo del giorno. E' una buona notizia anche perché, per il "come" sono nati questi appuntamenti eucaristici, si poteva pensare ad un possibile cambiamento da un giorno all'altro. Per ora "si va avanti", come piace dire al Papa.
E come sono nati questi appuntamenti? Così, semplicemente, senza pretese né organizzazione. Nessuno ha pianificato nulla a tavolino. Nessuno ebbe un progetto da sottoporre al Santo Padre. Il tutto è nato dal Pontefice in modo spontaneo e molto pastorale. Papa Francesco un giorno ha comunicato che desiderava che alla sua Messa del mattino, per la precisione quella del 22 marzo, potessero prendere parte alcuni fedeli dipendenti della Santa Sede. Ovviamente non fu difficile preparare il piccolo evento anche perché la cappella di Santa Marta offriva buone condizioni per piccoli gruppi. L'Osservatore Romano ricorda la prima Messa così: "Una celebrazione semplice, alla quale il Pontefice ha invitato  gli addetti del servizio giardini e nettezza urbana del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, offrendo loro una breve omelia a braccio, incentrata in particolare sul brano del Vangelo di Giovanni che narra l’episodio dei giudei che volevano lapidare Gesù".