giovedì 17 ottobre 2013

Autorità e potere (dizionario)

Dai due diversi concetti della divinità, quella del Padre della fede e quella del Dio della religione, nascono l’autorità e il potere.
AUTORITÀ
Laddove Dio viene concepito come il Padre, che potenzia l'uomo comunicandogli la propria vita fino a che l'uomo abbia la stessa condizione divina, un Padre che mette se stesso a servizio degli uomini, nasce l’autorità, servizio basato sulla competenza.
Il dono naturale che ogni individuo ha, quando viene messo a servizio degli altri viene potenziato e sviluppato dallo Spirito (carisma, 1 Cor 12,4). Nel vangelo di Marco si trova l'espressione “Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più” (Mc 4,24). Il Padre regala vita a chi produce vita, conducendolo di volta in volta verso una possibilità sempre più grande di dono di sé. Il servizio conduce a maturazione gli individui e tende a far diminuire la disuguaglianza.
Le caratteristiche dell'autorità sono quella di
- non imporre i propri valori, ma di proporli;
- non dirigere la vita altrui, ma di mettersi a servizio degli altri;
- non prendere decisioni per gli altri, ma aiutarli a maturare.
Infine, non esiste una sola autorità nella comunità, ma tutti sono chiamati a esercitare autorità, un particolare servizio alla comunità.
POTERE
Laddove Dio viene concepito lontano dagli uomini, insensibile ai loro bisogni e sofferenze, pronto a minacciare, castigare e incutere paura, nasce il potere, sistema che tende a mantenere o ad aumentare la disuguaglianza tra chi comanda e chi obbedisce.
Il potere è un dominio sulle persone basato sulla
- paura, sull’uso della violenza e la minaccia del castigo.
Paura che rende l'uomo vile e timoroso.
- ambizione: promettendo una ricompensa a chi si sottomette, sfruttando desideri di ricchezza e di successo.
Ambizione che rende l'uomo spregevole.
-credulità: inculcando un'ideologia che esalta il potere e presenta l'obbedienza e la sottomissione come un bene desiderabile, rendendo l'uomo infantile. 

Alberto Maggi


La Chiesa e il potere
«Pietro si alzò in mezzo ai fratelli… e disse: “Era necessario che si adempisse la scrittura… riguardo a Giuda”» (Atti 1,15-26)

Il modo di agire della Chiesa primitiva è fondante e normativo. Con il tempo, la tradizione subisce tradimenti. Si torna all’origine per ri-formare ciò che si è de-formato. La riforma non avviene mai per un decreto dall’alto, ma per un umile moto dal basso, ispirato dalla Parola tramandata nei Vangeli. Questi ultimi - norma della tradizione e non viceversa - sempre ci aprono a una duplice conversione: al passato e al presente, alla storia di Gesù e a come viverla oggi.
La comunità dopo l’ascensione resta unita. I primi 120 membri (ovvero, le 12 tribù x 10 = la comunità) sono aggregati non dalla «differenza» di un capo che domina, ma dall’adesione al Figlio che li fa tutti fratelli. Riuniti nel Cenacolo preparano il cuore perseverando nella preghiera. Ma preparano anche il corpo. Giuda ha tradito: manca un apostolo. Bisogna integrare il numero dei patriarchi, le 12 colonne del nuovo tempio, che saranno «testimoni della risurrezione». E questo sarà fatto democraticamente da tutti, su proposta di Pietro. Il testo tocca due punti fondamentali, sempre attuali: l’esercizio dell’autorità e la comprensione del mistero del male.
Pietro, autorità riconosciuta, non è come i potenti di questo mondo. Non sta solo, fuori dal gregge dei comuni mortali. Sta «in mezzo ai fratelli»: loro con dignità pari alla sua e lui con responsabilità di fratello maggiore. Suo unico potere è un dovere. Quello del suo Maestro e Signore, il cui comando è: «Lavatevi i piedi gli uni gli altri come io li lavai a voi». È traduzione «pedestre» della nuova legge: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv13,14.34). «Chi vuol essere il primo tra voi, sarà il servo di tutti», come il Figlio dell’uomo (Mc 10,44), che sta in mezzo a noi come colui che serve (Lc 22,27).
Altra autorità nella Chiesa è causa di idolatrie, defezioni e divisioni. Niente vesti pompose o posti d’onore. Nessuno si chiami Padre, Maestro o Guida. Noi siamo tutti fratelli, discepoli del Figlio. Discepolo è chi da lui «impara» (discere) a essere figlio e fratello di tutti. Il proliferare di colorati titoli e rispettive bardature sono buffe storpiature. Si obietterà che sono simboli. Ma l’uomo vive dei simboli che ha in testa. La favola del Re nudo ci aiuti a ridere delle nostre stravaganze con un po’ di buon senso. L’incenso del potere dà vertigini e confonde fantasia con realtà. Fin qui poco male: è solo un po’ di carnevale. Il brutto è che il potere violenta la realtà per imporsi come verità. Se contempliamo il nostro Re coronato di spine, forse cessa il nostro stupido gioco, di cui Lui e i poveri cristi pagano il conto salato. L’uomo non agisce male per cattiveria, ma per incoscienza (Lc 23,34). Crede che le sue smanie di potere lo rendano come Dio. La falsa immagine di lui, di sé e degli altri - quella suggerita da satana in Genesi 3,1ss. - fa usare ogni mezzo per dominare invece che per servire. Questa è la radice dei nostri mali!
E qui veniamo al secondo tema: il male. Il traditore non è «il» mostro. Giuda è «uno dei 12», «uno di voi», dice Gesù. Rappresenta noi che, come lui, vogliamo - ovviamente per amor suo... - un Cristo ricco e potente che metta tutti sotto i suoi piedi. Grazie a Giuda, il Figlio dell’uomo finisce in croce. E lì ci guarisce dalla falsa immagine di Dio e di uomo, caricandosi il male dei nostri deliri di avere, dominare e apparire. Per questo attraverso Giuda si compiono le Scritture. E il suo posto lo prende un altro. È il posto che prende qualunque altro - compreso io - perché mi converta guardando e toccando le ferite del «mio Signore e mio Dio» (Gv 20,27s).
© FCSF – Popoli, 1 marzo 2012, Silvano Fausti

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