sabato 6 febbraio 2016

Roma-Mosca: il secolo difficile tra le due Chiese

Dalla persecuzione sovietica ai gesti di disgelo
FULVIO SCAGLIONE, Avvenire, 6.2.16


Tra un anno esatto ricorrono i cento anni dalla Rivoluzione bolscevica e per raccon­tare i rapporti tra il Vaticano e la Russia pos­siamo quindi partire da lì. L’avvento dell’ateismo comunista in Russia investì fin da subito la Santa Sede. Papa Benedetto XV ricevette persino una let­tera da alcuni vescovi ortodossi della Siberia che si rivolgevano a lui come «padre di tutta la cristia­nità » e lo imploravano di intervenire contro il mas­sacro di sacerdoti e religiosi. Intanto il cardinal Ga­sparri, segretario di Stato poi anche di Pio XI, tele­grafava a Lenin per ribadire che «la Chiesa esige so­lo che gli Stati, qualunque ne sia il sistema, non o­stacolino la libertà della pratica e del ministero sa­cerdotale ». Invano, perché l’unica risposta venne dal ministro degli esteri Cicerin e fu sprezzante.

La Chiesa cattolica, però, non smise di cercare un contatto con le autorità sovietiche e di tendere u­na mano solidale alla gente russa. Nel 1922 papa Ratti, appena asceso al soglio come Pio XI, auto­rizza una missione di soccorso per le popolazioni russe colpite dalla carestia. Ma il gelo avanza a Mo­sca. Nel 1922 è revocata la parziale “apertura” del­la Nuova politica economica, nel 1924 muore Le­nin e Stalin prende il potere. Nel 1925 muore in stato di semi-prigionia il patriarca ortodosso Tikhon, che non viene sostituito. Nel 1931 viene fat­ta saltare con l’esplosivo la cattedrale di Cristo Sal­vatore nel cuore di Mosca. Per tutti gli anni Trenta le “purghe” si succedono senza sosta. Il Vaticano deve ammettere che con l’Urss nessun dialogo è possibile. E fa chiarezza con la
Divini Redempto­ris, l’enciclica che papa Pio XI emana nel 1937 per condannare i crimini del comunismo.
Tutto cambia con la seconda guerra mondiale. La Russia sovietica non è più l’impero ateo ai confini dell’Europa ma una potenza insediata nel conti­nente, che guida orgogliosa uno dei due “blocchi” contrapposti e cerca in ogni modo di diffondere il comunismo. Ha anche cambiato atteggiamento verso la religione. Durante la guerra la Chiesa or­todossa ha goduto di relativo respiro. Nel 1943 è sta­to finalmente eletto il nuovo patriarca, Sergio I. Le chiese, che erano 100 nel 1941, sono 25 mila nel 1945, e i sacerdoti passano da 400 a 33mila. Il pat­to è che la Chiesa diventi portavoce dello sforzo bel­lico e della propaganda patriottica.

Nel 1939, intanto, Eugenio Pacelli era diventato papa come Pio XII. Già segretario di Stato di Pio XI, Pacelli aveva vissuto in diretta l’annienta­mento della Chiesa ortodossa e la persecuzione dei cattolici. Non solo. A guerra appena finita a­veva dovuto assistere al dramma dell’Ucraina. Tutti i vescovi cattolici erano stati accusati di col­laborazione con i nazisti e arrestati. Poi era sta­to incarcerato anche l’arcivescovo di Leopoli, Jo­seph Slipyj. Infine, nel 1946, uno pseudo-conci­lio aveva decretato la fusione della Chiesa ucrai­na cattolica con il patriarcato di Mosca. Il Crem­lino colpiva così gli uniati e Pio XII levò la prote­sta con l’enciclica Orientales omnes ecclesias. Nel 1949, con un gesto ancor più clamoroso, sco­municò i capi di governo dei Paesi dell’Est re­sponsabili delle persecuzioni religiose.

Nel 1948 la Chiesa ortodossa russa ha il permesso
di celebrare i 500 anni dell’autocefalia e lo fa attaccando la Chiesa cattolica, nel documen­to finale definita «cen­tro del fascismo inter­nazionale ». Viene per contro rilanciato il ruo­lo di Mosca “terza Ro­ma”, nuova capitale del­la cristianità secondo l’i­deale elaborato all’ini­zio del Cinquecento. Con l’implicito corollario, molto gradito al Cremlino, di trasformare la Mo­scovia staliniana nella capitale politica del mondo. Gli anni della Guerra Fredda sono quelli della bat­taglia per difendere i ridottissimi spazi di fede.
Bisognerà attendere Giovanni XXIII per assistere a un cambio di tono. Che arriva dalle Chiese. Nikita Khruscev, al potere dal 1953, fa tornare la repres­sione contro la Chiesa ortodossa russa ai livelli del primo stalinismo. Numero dei preti dimezzato, Se­minari chiusi, migliaia di chiese dismesse. Lo Sta­to rompe il patto e nella Chiesa matura uno sta­to d’animo nuovo: preti coraggiosi rimprovera­no ai vertici i troppi compromessi, lo stesso Pa­triarcato prende decisioni inedite, come la stret­ta sulle vocazioni (per bloccare l’accesso degli infiltrati) o la scomuni­ca dei blasfemi fino al­l’invio di due osservato­ri al Concilio Vaticano II. C’è una data-simbolo per parlare di una stagione nuova. Il 25 novembre 1961, quando l’amba­sciatore russo consegna un messaggio personale di Khruscev per gli 80 anni del Papa. Giovanni XXIII risponde il giorno dopo e lo scambio continua in altre occasioni. Nel frattempo, sulla linea Mosca-Roma, si apre un diverso tipo di dialogo, per por­tare Atenagora, patriarca ecumenico ortodos­so di Costantinopoli, a Roma ai lavori del Con­cilio, ai quali devono partecipare anche gli os­servatori del patriarcato di Mosca.

Toccò invece a Paolo VI incontrare Atenagora nel 1964, durante il viaggio in Terra Santa. E fu anco­ra lui, l’anno dopo, a incontrare il ministro degli E­steri Andrej Gromyko. Dal “disgelo” di Roncalli si passava a quella che sarebbe diventata l’Ostpoli­tik vaticana, che ebbe nel cardinale Casaroli l’uo­mo incaricato di trovare la chiave dei Paesi comu­nisti. Nel 1966 Gromyko arrivò in Vaticano, nel 1967 il Papa ricevette il presidente sovietico Podgorny. Si cominciava a sussurrare di un viaggio di Paolo VI a Mosca, che non si fece mai. E nel 1971 il Pon­tefice, con l’enciclica
Octogesima adveniens, ribadì la condanna per «la società totalitaria e violenta» nata dal marxismo, unendo a quel monito anche una critica del liberalismo in una visione che an­ticipava quella di Giovanni Paolo II.

L’elezione di Karol Wojtyla, diventato Papa nell’ot­tobre 1978, avrebbe spazzato via la vecchia im­magine della Chiesa del silenzio, del cristianesi­mo mortificato senza scampo. I cristiani perse­guitati ora parlavano con la voce del Papa, che per­correva l’Europa in loro difesa. Mentre il regime sovietico si dibatteva nella crisi finale, gli ultimi leader, Andropov come Cernenko, manifestavano
preoccupazione per l’azione del Papa ma riusci­vano solo a incrementare gli arresti di sacerdoti. Ma proprio quando la glasnost’ e la perestrojka di Mikhail Gorbaciov facevano pensare che fosse giunto il momento per il tanto atteso viaggio del Papa a Mosca, tra il Vaticano e il patriarcato scop­piò la guerra delle diocesi. L’11 febbraio del 2002, infatti, Giovanni Paolo II aveva elevato a diocesi le quattro amministrazioni apostoliche (Mosca, Sa­ratov, Irkutsk, Novosibirsk) fino ad allora esisten­ti. La Chiesa ortodossa russa parlò di aggressione, di usurpazione del territorio canonico e naziona­le e un grande gelo scese tra le due Chiese.

Fu Benedetto XVI a scioglierlo. Non solo perché nel 2009 furono ristabilite relazioni diplomatiche ufficiali tra la Santa Sede e la Federazione russa ma anche perché il messaggio ratzingeriano faceva ri­suonare corde importanti nel cuore degli ortodossi russi. Non a caso il patriarca Kirill, all’annuncio delle dimissioni, inviò al Papa un messaggio in cui si diceva tra l’altro: «Nel momento in cui il relati­vismo morale cerca di indurre le persone a perde­re i valori, voi avete levato la vostra voce in difesa degli ideali evangelici e della dignità umana». Con l’incontro di Cuba, quindi, papa Francesco si tro­va a chiudere un cerchio lungo e faticoso.


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Dopo la rivoluzione bolscevica alcuni vescovi ortodossi chiesero a Benedetto XV «padre di tutta la cristianità» di intervenire contro il massacro dei sacerdoti

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